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"Arance rosse" è un racconto che nasce da una riflessione sull'attuale scenario politico-istituzionale e dalla volontà di costruire, attraverso il meccanismo dell'intervista, un dialogo aperto con i giovani su un fenomeno particolarmente complesso e difficile quale l'intreccio dei rapporti tra mafia, politica e società civile. I due protagonisti, un magistrato e una studentessa, con assoluta naturalezza e nel rispetto dei ruoli interagiscono in modo franco e diretto: all'iniziale approccio emotivo della ragazza, la quale non riesce a trovare una spiegazione per l'uccisione del padre che aveva denunziato gli aguzzini, segue un clima rilassato e confidenziale di fiducia reciproca. Il magistrato cerca di dipanare i dubbi incalzanti dell'interlocutrice offrendo la sua cassetta degli attrezzi. Autenticità e integrità morale consentono di intraprendere un percorso di ricerca fondato sul valore della cultura e sul principio della libertà di opinione, che dovrebbe iniziare a formarsi proprio a scuola nel confronto tra gli studenti. In buona sostanza un tentativo per recuperare la loro attenzione e quella degli adolescenti in genere, sulla questione etica dello Stato e sulla sua ampiezza democratica in relazione alle norme generali del diritto. Una lettura agevole, ma nello stesso tempo incisiva, che lascerebbe ampio margine a un dibattito sulle specifiche questioni ancora esaminate sbrigativamente, ovverosia, considerate solo in ambito formale. Il cenno alla trattativa Stato Mafia non è altro che il pretesto per aggredire sul piano filosofico il concetto di potere, negativo o positivo. Distinzione possibile solo attraverso lo strumento della riflessione e della capacità critica.